Intervista a: CRISTIANO GUERRA. Il progetto The Brand Designer

da | Mag 31, 2021 | Homepage, Marketing e Copywriting

L’intervista

Siamo felici di avere Cristiano come ospite e, prima di parlare di brand e degli elementi principali che lo identificano,partiamo dalla presentazione del progetto The Brand Designer.

Cristiano: Volentieri! Sono Cristiano Guerra, sono un brand designer e vuol dire che mi occupo di progettazione di marca. Brand designer vuol dire progettazione della marca, non del marchio che, invece, è ciò che vediamo della marca cioè il logo.

La marca è intesa in maniera un po’ più estesa, quindi ciò che noi percepiamo di un’azienda. Un prodotto o un servizio è chiamato marca e in inglese brand e quindi The Brand Designer è ciò che faccio io.

Che cosa costituisce un brand? Com’è composto?

Cristiano: Solitamente, quando pensiamo a un brand lo associamo a un logo. In realtà il logo è un elemento grafico che rappresenta il brand ma non è il brand, così come anche un prodotto rappresenta un brand, una persona rappresenta un brand (Elon Musk per esempio rappresenta il brand Tesla).

C’è un famoso brand designer americano che si chiama Martin Mayer e dice che il brand è ciò che sentiamo, è una sensazione di pancia verso un’azienda, un prodotto o un servizio (o una persona se parliamo di personal branding).

Effettivamente il logo è un elemento forte che rappresenta il brand ma anche tutta l’immagine coordinata, quindi tutto ciò che è colore, carattere tipografico, decoro, packaging di un prodotto… quella è un’espressione del brand.È una concezione molto alta e a volte intangibile che bisogna essere capaci di controllare ed è difficile. Posso creare un brand, la percezione di un brand, ma non ho il controllo totale perché quello che viene percepito dall’altra parte non posso saperlo in anticipo. Posso prevederlo, ma non posso avere la certezza matematica perché come uno interpreta un logo dipende dal suo vissuto, dalla storia, da ciò che associa come sensazioni a quel luogo e quindi è un mondo un po’ difficile da cavalcare, anzi, è come cavalcare un cavallo.

Non è una visione piatta, ma sono spunti diversi perché è come guardare un quadro.

Mi chiedevo, in particolare, quale sia il tuo parere a proposito del colore perché abbiamo pubblicato un articolo di approfondimento sulla psicologia dei colori nel marketing e, vista la tua esperienza, quali sono gli aspetti da tener presente nella scelta dei colori?

Mi è piaciuta la tua newsletter che offre sempre molti spunti e hai detto che scegli i colori in base al tono di voce e al contesto in cui opera un brand. L’ho trovato molto significativo quindi mi faceva piacere un tuo approfondimento sul tema del colore.

Cristiano: Il colore di un brand è un elemento importante perché attraverso il colore è possibile esprimere delle sensazioni che vogliamo legare al nostro brand. Noi come occidentali abbiniamo dei significativi abbastanza standard a dei colori.

Ad esempio, il rosso è la passione o l’amore, ma ci sono significati alternativi come ad esempio il sangue, la paura, il rosso del semaforo che significa stop. Quindi come facciamo ad abbinare un colore che può essere visto in diversi modi al nostro brand? Dobbiamo considerare il contesto, cioè il contesto in cui il nostro brand lavora.

In base a quel contesto, il colore assume un significato diverso: se in un contesto alimentare parlo del colore rosso, lo abbino ad alimenti di colore rosso come la fragola, la ciliegia, il pomodoro. In un contesto medico penso a tutt’altra cosa parlando del colore rosso. In Cina il colore classico del matrimonio è il rosso e non il bianco come da noi.

Questi sono ragionamenti da tener presente quando si parla del colore in un brand perché, come dicevo prima, ognuno dà un significato diverso a un colore, a un’immagine, a qualcosa di visivo che percepisce. Se però lo inseriamo all’interno di un contesto preciso, è possibile restringere il cerchio e riuscire a prevedere qual è il significato che le persone danno a quel colore all’interno di quel contesto.

Dipende anche dal target, al pubblico a cui si rivolge?

Cristiano: Sì, certo. Il contesto può essere il settore aziendale, ma può essere anche una tipologia di persone. Ad esempio, le persone appassionate di calcio lavorano in contesti diversi, hanno mansioni diverse ma hanno una passione comune e quella passione comune li inserisce all’interno di una nicchia che sono, appunto, gli appassionati di calcio.

Dobbiamo riuscire a definire delle nicchie di situazioni in cui noi comunichiamo e questo discorso della nicchia è importante anche per una questione di posizionamento del brand.

Quando possiamo dire che un logo funziona?

Cristiano: Un logo funziona quando rispetta diverse regole, buone regole di comunicazione. La prima è che rappresenti bene il brand utilizzando un linguaggio di comunicazione visiva che i clienti di quel brand riconoscono.

Se, per pubblicizzare il McDonald, mi inventassi un logo astratto, non so come verrebbe interpretato da chi non è appassionato di arte astratta. Se utilizzo, invece, i due archi dorati per pubblicizzare il McDonald e faccio riferimento agli archi veri che c’erano nei primi punti vendita del McDonald, a quel punto so che il McDonald ha uno storico e le persone probabilmente riconoscono la fotografia di quei primi punti vendita. Hanno il logo con i due archi che ha un senso per quelle persone.

Il logo deve comunicare qualcosa, può essere astratto ma basta che venga interpretato correttamente dalle persone a cui lo mostro.

Può avere dei significati anche nascosti o secondari che poi devo spiegare o far scoprire con il tempo. Diciamo che, come primo impatto, deve essere un logo che comunica qualcosa, che si spieghi da solo in qualche modo, a cui posso associare delle idee facili da interpretare.

La seconda regola è che sia un logo costruito bene dal punto di vista tecnico e questo lo può fare solo un tecnico. La casa deve essere costruita da un architetto o un ingegnere perché sanno come farla stare in piedi.

La stessa cosa funziona con un logo perché ha degli equilibri, bilanciamenti, forme. Deve essere utilizzabile ovunque e deve potersi applicare a diversi materiali o gadget. Per ogni contesto deve costruito in un certo modo e chi lo costruisce deve prevedere che verrà utilizzato in diversi contesti.

Vedendo i loghi che riceviamo per riprodurli su materiali diversi e con dimensioni diverse (dalla penna alla borsa), ci chiediamo spesso se lo studio è stato fatto alla fonte perché, quando bisogna scegliere l’impostazione del logo, si pone il problema del monocolore, delle sfumature e di altri problemi tecnici che saltano fuori in fase di utilizzo. Se si riesci ad andare all’essenza e a comunicare con un logo molto pulito credo che si sia raggiunto lo scopo, ma è un mio parere, non so cosa ne pensi.

Qual è lo studio che porta su una direzione invece di un’altra?

Cristiano: Quando progetto i loghi, parto dal logo in bianco e nero perché mi concentro sulle forme. Lo costruisco pezzo per pezzo partendo dalla forma e utilizzando il nero sul bianco per creare un logo monocromatico piatto.

Negli step successivi comincio ad aggiungere colore e sfumature (anche se non sono molto a favore delle sfumature sui loghi) e, questo tipo di processo, mi permette di poter tornare indietro.

Se ad un certo punto devo riprodurre un logo sulla matita e ho a disposizione un colore solo, so già che quel logo può essere riprodotto a un colore perché è nato a un colore unico. In ogni momento posso tornare indietro nel processo e utilizzare il logo monocromatico per risolvere il problema.

Questa cosa la faccio per tutti i loghi e per tutti i clienti. Anche quando mi dicono: «No, tanto devo stamparlo su dei camion e ho a disposizione tutti i colori del mondo», in ogni caso prevedo un logo bidimensionale piatto perché, al contrario, è troppo complicato partire da un logo complesso con tanti colori con sfumature o ombre e ridurlo a un logo monocromatico.

Un logo deve nascere monocromatico ed evolversi per evitare rischi al cliente.

È fondamentale partire dall’elemento più semplice e poi arricchirlo con lo studio. Il fatto che ci sia questa versione iniziale, che può essere anche quella definitiva, è sicuramente un elemento importante e parlo dal punto di vista di quello che conosco, cioè della realizzazione di articoli promozionali.

Invece, per quello che riguarda il payoff, che cosa consigli? Di avere anche qui una versione iniziale più pulita alla quale si abbina il payoff?

Cristiano: Il payoff è quella frasettina che vediamo sotto al logo che qualcuno chiama slogan, ma in realtà dovrebbe essere una frase che specifica di cosa si occupa il brand.

Se il logo non si spiega da solo perché è un nome astratto, ha bisogno di una descrizione.

Ti faccio l’esempio di un lavoro che ho fatto questo mese per un cliente che si chiama Riabito e se ti dico Riabito ma non ti dico il contesto puoi pensare a qualsiasi cosa.

Loro fanno ristrutturazioni e ristrutturano la casa in cui andrai ad abitare. Sotto abbiamo deciso di mettere ristrutturazioni, tu leggi Riabito ristrutturazioni, capisci cosa può fare per te quel brand, capisci anche il vantaggio che hai tu nell’affidarsi a loro.

Il payoff non è uno slogan come tanti pensano tipo Just do it che è uno slogan motivazionale che ha senso per Nike, ma è quel payoff che può non aver senso per altre aziende. Bisogna sempre capire cosa si vuol comunicare.

È una frase che serve a vendere e che deve far percepire un vantaggio. Il payoff, visto in questo senso, dovrebbe sempre accompagnare il logo, anche se bisogna prevedere quei casi in cui non è possibile metterlo perché diventerebbe troppo piccolo.

Se c’è spazio, le persone tendono a riempire lo spazio nell’esempio della matita. Sulla matita posso mettere logo e payoff, magari non lo metto sotto il logo mantenendolo in proporzione. Devo cambiare le proporzioni tra logo e payoff e mettere il logo a sinistra e il payoff a destra, per esempio, non sotto.

È sempre legato al materiale su cui vado a riprodurre il logo col payoff.

Ci sono alcuni casi in cui il payoff non ci sta quindi lo vado a eliminare, lasciando solo il logo.

Essendo solo un anello della catena di utilizzo dei loghi da parte di un’azienda, mi chiedevo se, quando un logo viene ideato, se viene pensato questo tipo di utilizzo. Spesso  un’azienda immagina il proprio logo perché magari in quel momento è all’avvio ed è concentrata su Internet o sui social e non viene pensato nelle sue varie riproduzioni.

Quali errori si possono evitare nella realizzazione di un logo pensando all’utilizzo che ne viene fatto?

Cristiano: Quando partono progetti nuovi, hai delle idee e vuoi lanciare il progetto, pensi subito a un logo da mettere sui mezzi di comunicazione che si vogliono utilizzare. Faccio il sito, ho bisogno del logo per il sito; faccio il logo, funziona per il sito, lo metto sul sito e sono a posto. L’errore qual è? Non pensare che quel brand poi possa evolversi e quel logo non rimarrà solo sul sito, anche se si erogano servizi online.

A un certo punto stamperai delle cartelline, delle brochure, dei biglietti da visita, farai dei gadget, video o qualcos’altro. Il logo deve essere applicato su tutti questi mezzi di comunicazione e non prevederlo prima porta all’errore che abbiamo visto e cioè che si dovrà adattare il logo a tutti queste situazioni. È un lavoro complicato perché potrà snaturare il logo.

Se faccio un logo bellissimo con un’ombra, con una sfumatura morbida che sul web funziona bene e poi lo devo stampare a un colore solo, quella sfumatura può snaturare il logo, può vedersi male o può compromettere la leggibilità.

Un altro problema è il fatto che tanti imprenditori sono affezionati al loro logo e quando si trovano in queste situazioni per cui devono mettere il logo sulla famosa matita, si fa l’adattamento del logo per stamparlo sulla matita. L’imprenditore è contento però il logo fa schifo ed è illeggibile. Chi riceve la matita vede un logo che non riesce a capire cos’è realmente e fa fatica a interpretare quel logo. È una comunicazione zoppa e in automatico mi allontano.

Magari si ha il senso di non entrare in sintonia con quel messaggio che potenzialmente poteva attirarti. Mi sembra tutto molto chiaro e se sei d’accordo pensavo di indicare il link alla tua homepage dove c’è questo simpaticissimo test che mi è piaciuto fare, quasi come se fosse un test sul carattere, ovvero capire il carattere del tuo brand.

È utile fare un po’ di studio anche su un logo che magari si usa già da tempo? Vedo che rispetto a una volta si è più propensi a fare i refresh del logo, una volta c’era più timore a ritoccarne uno.

Cristiano: Sì, anche perché ultimamente c’è questo trend di semplificare i loghi. Le aziende di moda, soprattutto da un paio d’anni, hanno cominciato a prendere i loghi storici e semplificarli tantissimo.

Il motivo principale è adattare i loro loghi al web, nel senso che hanno capito che il logo originale, classico, rimpicciolito diventa illeggibile. Allora lo semplificano così che lo possano mettere nei siti e quando compare il logo su un cellulare rimane leggibile perché è stato fatto questo lavoro di semplificazione.

È un trend legato allo spostamento delle aziende dall’offline all’online.

Tante aziende, invece, hanno un logo riconosciuto a livello mondiale nel loro settore ed è un logo che magari funzionava 100 anni fa, adesso non funziona più online ma decidono di lasciarlo. Questa può essere una soluzione ma bisogna sempre valutare se è così o se la leggibilità è compromessa. Non è che ridisegnare un logo è sempre buono, dipende da quali sono gli obiettivi di comunicazione.

Ti chiedo un’ultima cosa: prima parlavi di posizionamento del brand inteso come l’immagine che il cliente ha di questo brand e quanto può influire il fatto di vederlo su articoli stampati perché magari è un brand di servizio?

Prima facevamo l’esempio di un servizio astratto come l’info prodotto e quanto può aiutarmi a consolidare l’idea che ho di quel brand.

Cristiano: Il posizionamento di un brand è quando il cliente percepisce che quel brand è unico nella sua nicchia, nel suo contesto. Quando lo riesce a classificare all’interno della sua mente in un cassettino vuoto, immaginiamo la mente divisa in cassettini e in ogni cassettino ci sono dei loghi. Per esempio, la miglior auto è la Tesla e la metto nei cassettini delle auto; il miglior cellulare è l’iPhone e lo metto lì.

Questo è un lavoro che fa ognuno di noi in maniera personale.

Quando riesco a ottenere un cassettino vuoto nella mente del cliente, sono riuscito a posizionare il mio brand nella mente del cliente, sono riuscito a far capire al cliente che sono il primo in quello spazio, per lui sono il migliore, il più veloce, il primo brand nella sua mente che si occupa di quella cosa.

Se io il logo lo abbino a un gadget, quindi lo stampo su un gadget, succede che il gadget che decido di utilizzare, anche quello mi aiuta a capire come classificare il logo nella mia mente e come classificare il brand.

Tutto questo mi crea un immaginario che devo classificare e se questo abbinamento è fatto con un pensiero logico posso utilizzarlo per posizionare il mio brand.

Se ho un’azienda di servizi e faccio stampare delle agende, per esempio, non so quanto mi posiziona quella cosa. L’agenda è una cosa che stampano in tanti e quindi nella mia mente non dico: «Ah ok ha stampato l’agenda», lo fanno tutti quindi non mi aiuta a classificare quel brand all’interno della mia mente.

La cosa intelligente da fare sarebbe scegliere un gadget o un oggetto promozionale che mi aiuta a sottolineare qual è il mio posizionamento.

Ti faccio un esempio di un altro brand che seguo, un brand che crea borse in cotone tinte in maniera naturale. Chi acquista queste borse sono altri brand come flower designer, persone che si occupano di fiori e per sottolineare il loro posizionamento cioè che è tutto naturale, acquistano queste borse naturali e mettono il loro marchio sopra così il gadget è coordinato e sottolinea i valori del loro brand. In questo caso il gadget aiuta a posizionare il loro brand nella mente dei loro clienti.

Non bisogna scegliere l’oggetto di moda del momento semplicemente perché magari si rincorre l’ultima moda e magari abbinato a un dato messaggio non aggiunge nulla.

Cristiano: Esatto, come il caso dell’agenda di prima che è utile, la matita è utile ma se lo fanno tutti probabilmente non è un oggetto che ti posiziona. Le persone però non lo rifiutano come regalo.

Quasi come avere la cancelleria ma senza comunicare i valori.

Cristiano: Assolutamente, quei tipi di gadget hanno un’altra funzione.

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